sabato 1 agosto 2009

PARLANDO AL DOLORE


Ah, Dolore, non ti dovrei trattare
come un cane randagio
che si presenta alla porta di servizio
per una crosta, per un osso spolpato.
Dovrei darti fiducia.
Dovrei attirarti
dentro casa e darti
un angoletto tutto per te,
un vecchio stuoino dove stenderti,
la tua ciotola dell'acqua.
Tu credi ch'io non sappia che hai vissuto
sul mio balcone.
Vorresti che fosse pronto il posto tuo
prima che l'inverno arrivi. Hai bisogno
del tuo nome,
del collare e della medaglietta. Hai bisogno
del diritto di tener a bada gli intrusi,
di considerare
la mia casa come tua
e me, persona tua
e te stesso, il cane mio.
Denise Levertov

DIARIO DI UN DOLORE


“Nessuno mi aveva detto che il dolore del lutto è così simile alla paura. Io non ho paura, eppure la sensazione è simile. Lo stesso palpito nello stomaco, la stessa irrequietezza, un continuo sbadigliare. Non faccio altro che inghiottire. Altre volte mi pare di essere leggermente inebriato, o come se avessi sbattuto con violenza la testa. C'è una coperta invisibile che mi separa dal resto del mondo. Ho difficoltà a seguire cosa mi dicono. Oppure, trovo difficile volerlo seguire. E' tutto così indifferente. Eppure, ho bisogno che ci siano altri vicino a me. Ho il terrore del momento in cui la casa è vuota. Se solo parlassero tra di loro e non a me”.
....
“Il sentimento di questo lutto continua ad essere simile alla paura. Forse, per esser precisi, ad uno stato di sospensione. O all'attesa; all'aspettare che qualcosa succeda. Dà alla vita un senso permanentemente provvisorio. Non sembra valer la pena dare inizio ad alcunché. Non riesco a stare tranquillo. Sbadiglio, sposto gli oggetti di qua e di là, fumo troppo. Fino a questo momento avevo sempre troppo poco tempo. Ora non ho che tempo. Semplice tempo, una vuota successione di tempo”.
....

“Comincio a capire perché questo dolore è così vicino all'attesa, ad una sensazione di sospensione. Nasce, questo sentimento, dalla frustrazione di tanti impulsi che erano ormai diventati abituali. Un pensiero dopo l'altro, un'emozione dopo l'altra, un' azione dopo l'altra avevano avuto H. come destinataria. Ora non hanno più un bersaglio. Per abitudine, continuo a infilare la freccia nell'arco, poi mi ricordo e devo posare l'arco. Così tante strade mi portano da H. Ne imbocco una. Ma adesso la strada è occupata da un confine invalicabile. Un giorno così tante strade. Ora così tante strade senza sbocco”.
C.S.Lewis, Diario di un dolore, Adelphi 1990