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mercoledì 20 febbraio 2013
lunedì 18 febbraio 2013
IL TERAPEUTA CHE GUARIVA I PAZZI
“Uno dei principali interessi di Jung fu la ricerca del
significato delle verbalizzazioni dei pazienti. Non accettava, ancora una
volta, che ciò che i pazienti dicevano fosse privo di senso perché proveniva da
persone folli; non lo voleva liquidare semplicemente come un discorso di
individui in preda alla pazzia. Jung tentava invece di scoprire l’unicità del
suo significato. Anche con i pazienti cronici, che erano “completamente dementi
e dicevano cose assolutamente incomprensibili” (RSR, p.164), Jung scoprì un
senso in ciò che andavano dicendo, “che fino ad allora era stato considerato
privo di significato” (Ibidem). Una paziente, per esempio, soleva urlare: “Sono
la rappresentante di Socrate”, e Jung scoprì (indagando attentamente la sua
personalità e le circostanze) che «voleva dire: “Sono accusata ingiustamente
come Socrate”» (RSR, p.165). Lavorando attivamente a favore dell’evoluzione
del’interpretazione del loro linguaggio, a volte Jung riuscì a provocare nei
pazienti dei notevoli mutamenti positivi e persino a “guarirli”, come successe
con una vecchia schizofrenica che udiva una voce che definiva “voce di Dio”,
cui Jung disse: «Dobbiamo avere fiducia in quella voce» (RSR, p.165).
Mettendosi in rapporto con lei in un modo che non soltanto le offriva una
conferma, ma che attribuiva un signifcato alla mancanza di senso delle sue voci
“folli”, Jung riuscì a conseguire un “successo inatteso” del trattamento (RSR,
p.166).
E’ importante riconoscere che l’accento posto sul
significato non fu un’invenzione di Jung, ma faceva parte dell’ethos e
dell’approccio generale sviluppati da Bleuler. E’ tipico che A.A.Brill (lo
psicanalista americano facente anch’egli parte del gruppo di ricerca del
Burgholzli) scrivesse che, all’epoca, gli psichiatri di quell’istituzione «non
s’interessavano di ciò che i pazienti dicevano, ma del suo significato» (Brill
1946, p.12). Ciò non invalida il contributo di Jung, bensì ne fornisce il
contesto; riuscì a collegare quella filosofia al proprio approccio e, cosa
estremamente importante, a svilupparla ulteriormente e a raggiungere le sue
posizioni epistemologiche uniche.”
(Renos K. Papadopoulos – L’espitemologia e la metodologia di
Jung - Tratto dal “Manuale di psicologia Junghiana” a cura di Renos
K.Papadopoulos, Edizioni Moretti & Vitali, p.58)
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